Riporto interamente e fedelmente un articolo di Vincenzo Brancatisano letto su www.orizzontescuola.it, relativo ad un intervento del Prof. Umberto Galimberti, in occasione di una presentazione pubblica del suo libro ” “La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo”, edito da Feltrinelli.
Lo riporto così, senza commenti od osservazioni personali, perché credo non ce ne sia bisogno, ha suscitato, però, il mio interesse ne condivido molti passaggi. Di seguito il testo dell’articolo.
“Occorrono insegnanti affascinanti ma non è così. Oggi il ragazzo si deve ritenere fortunato se su nove docenti ne ha due carismatici, e questo è un grosso problema. Prima di essere mandati in cattedra, gli insegnanti dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità, per comprendere se hanno la passione dell’insegnamento, ma da parte loro i genitori devono mettersi in testa che i docenti devono essere difesi. Sempre”. È questo il pensiero del filosofo Umberto Galimberti, intervenuto ieri al Forum Monzani di Modena alla presentazione del suo ultimo libro intitolato “La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo”, edito da Feltrinelli.
“Le maestre vanno difese, sempre”, ha insistito. “Quando i bambini vanno a scuola sviluppano nuovi binari di affettività, soprattutto quello bambino-maestra”. Altro che aggredire gli insegnanti con pugni e calci, magari davanti a loro. “Se i genitori parlano male delle maestre devono sapere che stanno violentando la sfera dell’affettività del bambino. Una delle prime manifestazioni della schizofrenia, che notiamo alla fine dell’adolescenza, è la scissione dell’affettività. Non diventano tutti schizofrenici ma certo questa cosa non contribuisce alla sfera armonica dell’affettività. Se uno parla male dell’altro, poi il bambino non ci si fida di nessuno, ma poi non ci meravigliamo che da più grandi combina dei guai e lo troviamo a lanciare sassi dai cavalcavia o a fare il bullo. I genitori devono mettersi in testa che devono difendere le maestre, sempre. Fanno un lavoro pazzesco, io darei lo stipendio da professori universitari alle maestre e quello delle maestre ai professori universitari”.
Bisogna stare sempre dalla parte delle maestre, dunque, “e anzi espellerei i genitori dalle scuole, a loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar, altro istituto che andrebbe eliminato per legge. E alle superiori i ragazzi vanno lasciati andare a suola senza protezioni, lo scenario è diverso, devono imparare a vedere che cosa sanno fare senza protezione. Se la protezione è prolungata negli anni, come vedo, essa porta a quell’indolenza che vediamo in età adulta. E la si finisca con l’alternanza scuola lavoro, a scuola si deve diventare uomini, a scuola si deve riportare la letteratura, non portare il lavoro. La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia digitale invece che di letteratura? E’ folle. Guardiamo sui treni: mentre in altri Paesi i giovani leggono libri, noi giochiamo con il cellulare. Oggi i ragazzi conoscono duecento parole, ma come si può formulare un pensiero se ti mancano le parole? Non si pensa o si pensa poco se non si hanno le parole”.
Il libro di Galimberti riprende i temi del suo fortunato “L’ospite inquietante”, volume dedicato qualche anno fa al tema del nichilismo dei giovani. L’ultimo libro prende lo spunto da decine di lettere, precisamente settantadue, spediti al filosofo da adolescenti o poco meno che trentenni. Tanto l’adolescenza prosegue oggi oltre l’età dell’adolescenza. La novità è che i giovani non negano più il nichilismo che li pervade, per questo lo definisce nichilismo attivo, essi sono pienamente consapevoli delle grave dimensione psichica in cui versano. Lo spaccato secondo l’autore dà un’idea di giovani che non è quello che danno insegnanti e psicologi. È come caduta la dimensione dell’inconscio cristiano che tutto sia salvabile, che il futuro sia sempre positivo. “L’umanità non è sempre in progresso”, ha spiegato, “ma è caratterizzata anche da processi di regressione”. Quelli che stiamo vivendo in maniera drammatica, per tanti versi.
Ma che cos’è il nichilismo? “La definizione di nichilismo è quando si svalutano tutti i valori. I valori sono coefficienti sociali con cui si decide di convivere in una comunità. Ma occhio a chi parla di valori che non ci sono più, non si tratta di questo. I valori possono cambiare. Quel che manca è lo scopo, parola la cui etimologia greca indica il guardare, guardare non il panorama, ma il bersaglio preciso dell’osservazione, quello che si focalizza ad esempio con il telescopio, con l’endoscopio”. Lo scopo, appunto. E lo scopo riguarda il futuro, ma il futuro non è una promessa per questi giovani.
È una minaccia? “Non so se è una minaccia, di sicuro è imprevedibile. Ai miei tempi, una volta laureato, io sapevo che dopo la laurea ci sarebbe stato un concorso e che presto avrei avuto un posto come insegnante di filosofia. Ora chi si laurea in filosofia sa per certo che non riuscirà a insegnare”.
E se il futuro non è una promessa, esso non retroagisce alla fase della costruzione delle motivazioni. “E allora il giovane si chiede: perché devo stare al mondo? Lo scorso anno ci sono stati cinquecento suicidi tra gli studenti”.
In una situazione del genere e sempre considerando che gli adolescenti sono una forza della natura, con i problemi e le trasformazioni del corpo, con gli interrogativi terribili connessi alla scoperta della sessualità, “la scuola non può essere l’ultima istanza, il giudizio ultimo che spinga a tale gesto definitivo”. Ma si può uscire dal nichilismo? “Io dico di no”, conclude Galimberti. “Noi siamo tutti cristiani anche se atei e il Cristianesimo ha diviso il tempo in tre fasi, il passato (con il peccato originale), il presente (con la redenzione), il futuro: con la salvezza. Ciò ha alimentato anche la scienza, che è profondamente cristiana, per la scienza il futuro è progresso. Anche Marx è cristiano, il futuro è per lui giustizia sulla terra. Per Freud è guarigione dalla nevrosi. E grazie all’inconscio collettivo coltiviamo la speranza come cosa positiva”. Sennonché? “Sennonché” Nietzsche ci avverte che Dio è morto” Con tutto quel che segue.
I giovani, prosegue il filosofo, che è stato a lungo insegnante liceale, “non devono esser visti dal momento della giovinezza, ma fin da quello della nascita. Nei primi sei anni di vita, dice Freud, si formano le modalità cognitive, cioè il modo di conoscere il mondo, modalità di tipo logico razionale, estetico, metafisico, teologico, insieme alle modalità emotive: come sento gli eventi del mondo, che risonanza emotiva hanno dentro di me? Da queste ultime dipendono molte nostre decisioni, come quelle che determinano ad esempio l’acquisto di una casa se davvero la si avverte come un luogo dove ci si sente a casa, indipendentemente da valutazioni razionali come il prezzo o l’orientamento della medesima. Ecco, queste mappe si formano nei primi anni di vita”.
E come si formano oggi? Forse siamo al punto cruciale. “Oggi si formano come capita. Il padre e la madre lavorano e tornano a casa tardi, il bambino è stato con la baby- sitter, davanti alla televisione o allo smartphone”.
La donna che lavora. “Sono contento della liberazione della donna e difendo il suo ruolo attivo nella società”. Però? “Però non possiamo negare che quando si torna a casa non c’è più il tempo di capire quali siano le mappe emotive del bambino. Che invita la mamma e il papà a guardare il disegno che ha fatto a scuola e loro Come gli rispondono? ‘Te lo guardo domani’, cioè mai. L’identità è il prodotto del riconoscimento che gli altri mi danno. Il papà o la maestra che mi continuano a dire sei un cretino o sei bravo. L’identità è il prodotto dei riconoscimenti. Se i genitori non hanno tempo di vedere ciò che fanno i figli, i figli vengono su come possono. Bambini soli con cartoni animati e smartphone? Niente di male. Ma si sappia che in questi casi le modalità emotive si formano a caso, cioè come capita. Le neuroscienze oggi ci dicono che si formano già nei primi tre anni, non nei primi sei. I bambini non sanno di progredire, sono i genitori a vederli progredire. E si badi bene che le parole dei genitori sono seguite dai figli fino a che questi hanno dodici, massimo tredici anni, poi con la scoperta sessuale le parole non servono più. O si parla prima, molto prima, o tutto è perso, non le seguono più. Bisogna parlare molto prima se vogliamo tenere la porta aperta. La parola è fondamentale nei primi anni. I bambini fanno domande filosofiche con i loro continui perché? che meritano sempre una risposta, non una risata”.
Poi i bambini vanno alle elementari. “Se si fanno errori nell’infanzia”, sottolinea Galimberti, “non ci si può meravigliare di quel che succede dopo. Vedo questa continua guerra con le maestre. Quando i bambini vanno a scuola sviluppano altri binari di affettività. E quando i genitori parlano male delle maestre stanno incidendo negativamente sulla sfera dell’affettività del bambino. I genitori si devono mettere in testa che devono sempre stare dalla parte delle maestre. Le maestre fanno un lavoro pazzesco”, non solo insegnano, ma accolgono i pianti dei loro figli, le frustrazioni, le delusioni, la gioia, i conflitti, la rabbia”. Io darei alle maestre lo stipendi dei professori universitari e ai professori universitari quello delle maestre. Semmai espellerei i genitori dalle scuole. Li introdusse Malfatti, un cognome un programma”.
“Poi arriva l’adolescenza, certe parti del corpo si scopre servano ad altro, non solo alla minzione, ma anche al piacere e alla procreazione, ciò che coinvolge pesantemente la psiche delle ragazze con l’arrivo delle mestruazioni. Adolescenza è una fase critica, e crisi sul piano dell’etimologia in greco significa giudicare. Ma come si educa tutta la formazione emotiva e sentimentale di questi ragazzi? Platone diceva che la mente si apre quando si apre il cuore di questi ragazzi. L’apprendimento avviene per fascinazione. Occorrono insegnanti affascinanti ma non è così. Oggi il ragazzo si deve ritenere fortunato se su nove docenti ne ha due carismatici, e questo è un problema grosso. Tutti noi studiavamo molto le materie dei prof che ci affascinavano. Come mai? I professori non devono diventare amici, non devono andare a mangiarsi la pizza con i propri studenti, ma questo errore lo fanno i genitori purtroppo. I genitori non devono essere amici perché così non consentono di uccidere il padre, invece devono uscire, devono sbattere la porta, se non fanno l’Edipo in famiglia lo faranno prima o poi da un’altra parte, allo stadio, lo faranno contro la polizia”.
Quanto ai professori, chiamati a questo arduo compito, e anche se so che mi prendo delle critiche, “io propongo che vengano sottoposti a un test di personalità per capire se questo mestiere lo fanno per lavoro o per passione. I prof hanno a che fare con i ragazzi e devono avere la passione, devono anche sapere affascinare, senza mangiare la pizza insieme. Del resto tutti quelli che vanno a lavorare nel privato fanno un colloquio che non è altro che un test di personalità. Uno che è alto un metro e cinquanta non può fare il corazziere, però uno che non ha motivazione per insegnare lo porti in ruolo per demotivare centinaia di ragazzi? Poi c’è un dato oggettivo: bisogna fare classi di massimo dodici, quindici studenti. Con classi di trenta alunni hai già deciso che non si educa. Educare significa educare la parte emotiva sentimentale e individuare le parti diverse dell’intelligenza, da quella matematica a quella musicale, a quella corporea, bisogna seguire questi ragazzi e capire il loro sviluppo”.
Ragazzi e ragazze in preda alle pulsioni sessuali, a quell’età. “Ma se rimangono a livello delle pulsioni avrete il bullo. Quando una scuola ha un bullo lo sospende. E invece lo deve tenere il doppio a scuola e portarlo a un livello più alto, cioè al livello delle emozioni. Emozione vuol dire scoprire che risonanza emotiva hanno dentro di me gli eventi del mondo. Sempre più spesso non si sente la differenza tra corteggiare e stuprare una ragazza. Vuol dire che non è arrivata ancora la fase emozionale. Pensiamo ai sassi lanciati dal cavalcavia, ho incontrato questi ragazzi che mi dicono che era un gioco. E il caso di Omar e Erika. Se oggi, dopo anni dal delitto si frequenta lo stesso bar di prima del delitto, questo cosa vuol dire? Non si registra la differenza tra bene e male. La psiche non registra più la differenza tra ciò che è grave e ciò che non lo è.
Un messaggio ai genitori. Ai tanti genitori in sala. “Se li riempite di giocattoli, voi estinguete nel bambino il desiderio. Il bambino non desidera più ciò che non ha perché ha già tutto. Se l’intervallo tra sé e il giocattolo non c’è più, vuol dire che si estingue il desiderio e la psiche diventa apatica”. La psicoapatia, sempre più in agguato. “Se uno desidera, desidera cambiare il mondo. Quando vi trovate davanti una società che non desidera più cambiare il mondo, significa che i bambini, i ragazzi, i giovani hanno perso il desiderio. Bisognerebbe non averne, di giochi, e farli da sé”.
Genitori sempre più preoccupati che i bambini non si annoino, che si divertano sempre, che siano occupati e iperstimolati. Ma “la noia è fondamentale nel bambino. I bambini che si annoiano non sono un male, è semmai la precondizione per crescere. I bambini invece sono sottoposti a una serie impressionante di stimoli, danza, calcio, inglese… non ce la si fa. Non-ce-la-si-fa! Quando hai iperstimoli succede che o vai in angoscia o abbassi la soglia degli stimoli e diventi psicoapatico. Per non esporsi all’angoscia, i bambini infatti si autolimitano nella percezione degli eventi del mondo”.
E veniamo ai sentimenti. “Non è una questione romantica, è soprattutto una facoltà cognitiva. I greci lo sapevano. Una mamma sa che quando un bambino frigna ha bisogno di qualcosa. Si parla di intelligenza emotiva. Le nostre nonne, almeno ai miei tempi (le nonne di oggi pensano al lifting), ci raccontavano storie truculente, bisogna far conoscere il male e anche la morte ai bambini. Invece spesso non hanno il senso della realtà, certo non gliela fanno vedere. Ma per vederla ci sarebbe un mezzo, questo mezzo è la letteratura. E’ questo il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia e di digitale, invece che di letteratura? E’ folle. Peraltro da varie indagini viene fuori che uno o due ragazzi su trenta leggono, mentre gli altri guardano su google o sui riassuntini, siamo all’ultimo posto in Europa a saper comprendere un testo scritto. La cultura paga anche in termini economici, ma noi giochiamo con il cellulare mentre gli altri leggono. Oggi i ragazzi conoscono duecento parole. E con una sola parola esprimono sentimenti anche opposti. I giovani sono nel massimo della forza fisica. Hanno bei corpi. Loro lo sanno e giocano questo valore. Sono al massimo della forza sessuale e della capacità ideativa. E cosa fa la società? Li manda a fare lo stage, introduce l’alternanza scuola e lavoro. Scuola e lavoro? La competenza la devi conquistare all’università. A scuola devi diventare uomo”.
Infine un avvertimento, che nasce dall’analisi delle lettere ricevute. “I giovani mi dicono: noi non parliamo con i genitori e gli insegnanti perché sappiamo già cosa ci dicono. E poi scrivono meglio dei professori. Mi capita di leggere lettere dei professori, ogni tanto le devo correggere. Sulla scuola le cose le ho imparate dai ragazzi. E poi dicono ancora: per favore, cari adulti, non ci indicate il denaro e l’immagine sociale come unici obiettivi della nostra esistenza”.