Vele tra le righe…

Con piacere condivido con i lettori degli articoli che di tanto in tanto pubblico e con gli amanti della vela il racconto che ho scritto per il periodico mensile Bolina. Il brano è stato pubblicato sul numero 352  di maggio, alla pagina 95 ed è risultato il vincitore del concorso annuale “Sapore di mare 2017”. Sono particolarmente contenta per questo risultato, citato anche sulla pubblicazione di questo mese e riporto qui il testo… vuol essere uno spunto per immaginare, riflettere, osare, inseguire sogni…oltre che condividere emozioni!

“C’è un vento che ti arriva sulla faccia ed è più forte di te. C’è un vento che mette in ordine i pensieri, li mette tutti in fila, li osserva, ci gira intorno e poi ne spazza via un bel po’. Mi ricordo una sera di giugno, io mangiavo il mio gelato al fior di latte seduto su un pontile galleggiante, dondolavo le gambe seguendo lo spostamento lieve dell’acqua sotto di me e guardavo di traverso, come solo io so fare-dice la maestra-piccoli pesci che non sono tanto buoni da mangiare. Mia madre disse“Voglio iscriverlo ad un corso di vela”, mio padre rispose“Perché?”. Mia madre mi guardò gentile, io dondolavo seguendo le mie gambe, che seguivano le piccole onde del porto, che coccolavano i pesci. Io la guardavo, ma mia madre non lo sapeva, perché la guardavo di traverso, dondolando. Mia madre, senza togliere lo sguardo da me, disse a voce bassa“Proviamoci!” e mio padre sospirando triste rispose“Sarà un fallimento!”. La piccola vela dell’Optimist dove mi fecero salire la mattina dopo era bianca come il fior di latte, con delle scritte rosse come le fragole mature, e poi faceva uno strano fischio, sventolava fischiando. Mi piaceva quella piccola barca tutta per me, non avevo paura, mi sentivo libero. Potevo pensare quello che volevo ed il mare mi ascoltava. Da quella prima volta decisi che la mia navigazione sarebbe sempre stata a colori, ed un po’ anche ad odori e sapori; per imparare le cose, soprattutto tutti quei termini strani, avevo bisogno di questo. Ed allora le scotte diventarono “i peperoncini rossi”, i parabordi “le melanzane blu”, i candelieri “i verdi flauti magici” ed i venti e le andature diventarono un arcobaleno di colori. La Tramontana da quella mia prima estate in barca divenne blu come le notti stellate, il Grecale verde bottiglia, il vento di Levante fu sempre celeste, con delle punte di giallo, come certe albe sull’Adriatico, lo Scirocco decisamente arancione, l’Ostro ocra, un colore che sa di terra, il Libeccio ecru, come i vestiti di certe persone venute dall’Africa, il vento di Ponente era difficile, un po’ rosso ed un po’ viola, il Maestrale grigio come il ghiaccio. Ma il bello era regolare le vele, prima la piccola vela della barchina incantata e solitaria, fior di latte e fragole, poi le vele grandi, delle barche “vere”-diceva mia madre-la randa e il fiocco. Lei ricordava solo questi due nomi ed ancora oggi batte forte le mani quando isso una vela e dice con l’emozione negli occhi e nella voce “Bravo! Bravo!”. Magia delle andature, il mio tempo ed il tempo del mare, io e il vento, che ci parliamo nel nostro linguaggio segreto e ci mettiamo d’accordo su quanto correre sull’acqua. Tutte le boline erano dei colori del mare, dall’azzurro intenso al celestino, dal traverso in poi arrivavano i verdi, il fil di ruota non aveva colore, perché non mi piace essere spinto dal vento…è un po’ come essere toccato, abbracciato alle spalle, e questo mi ha sempre fatto urlare moltissimo. Il 27 giugno di 7 anni dopo camminavo lungo la banchina, stando ben attento a mettere un piede avanti all’altro a 10 cm esatti di distanza dalla lunga fila delle bitte di sinistra. Una donna bionda mi sorrise e mi chiese forte“Come ti chiami?”, io cominciai a dondolare, la testa inclinata a sinistra, avevo perso il conto dei passi e non risposi, ma cautamente mi avvicinai a lei. “Sei il ragazzo che esce in mare da solo ogni mattina, vero?” ed io“E voi siete la coppia dell’Hallberg-Rassy 42 Enderlein di Rassy e Enderlein, da non confondere con l’HR 42 di Frers. Ogni anno arrivate qui il 19 di giugno e ripartite il 29, e a volte tornate il 14 settembre e vi fermate solo 3 giorni. Fra due giorni partite”. Lei mi sorrise di nuovo e chiamò lui. “Abbiamo un intenditore qui!”, “Sì, mi piace la vostra barca, anche se preferisco la P28, la prima, quella del ’63. E comunque la vostra batte i concorrenti: Atlantide 42 del Cantiere Franchini, ad esempio, o il Najad 420 o il Contest 42”. Mia madre non sapeva che leggevo di barche di notte e mio padre non sapeva neanche che io sapessi leggere. “Sali a bordo marinaio!” disse lui svelto. Per me quei due erano una coppia color oro, lei era gialla come l’allegria e lui era rosso come la passione. Insieme facevano una
coppia oro luccicante. “Fammi una gassa” disse lui, snello e furbo, ed io in silenzio e ad occhi chiusi la feci. “Come te la cavi al timone?”-“Tengo la rotta…e parlo col vento” aggiunsi piano. Lei seria disse “Questo serve moltissimo!” e lui “Ho bisogno di equipaggio per tre mesi, fammi parlare con i tuoi genitori”. Sono 5 anni che lavoro con loro; giro il Mediterraneo con il vento sulla faccia, imbarco e sbarco persone, amici, turisti, studiosi. Sono un bravo marinaio ed anche un discreto cuoco. Parlo poco, evito gli abbracci, dondolo un po’, ma in mare tutto questo non è un difetto. I medici ed i miei genitori la chiamano soddisfatti “borsa lavoro”. Io non ho mai capito il nome della mia malattia: disturbo dello spettro autistico. Lo spettro è un fantasma ed i fantasmi sono trasparenti, privi di colore e si perdono nel vento. La mia vita è tutta vento e colori invece: vele, drizze, scotte, winch e tutto il sartiame. Ogni tanto, senza dirglielo, ringrazio mia madre per avermi immaginato marinaio, e mio padre per non averci creduto affatto, e gli istruttori dai mille colori, e la coppia oro, che sa di mare, ma soprattutto ringrazio il vento, i pesci e le barche… compagni di profonde emozioni e silenziosi interminabili discorsi con me stesso.”