L’Obesità Psicogena rientra fra i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), in quanto è sostenuta da cause di natura psichica e non da cause mediche di natura endocrina o genetica. Si tratta di un disturbo non molto conosciuto, di cui si parla poco, o comunque meno di altri DCA, come l’anoressia e la bulimia nervosa.
La categoria diagnostica dell’Obesità Psicogena non è specificatamente descritta nel DSM-V, mentre la Classificazione Internazionale delle Malattie e dei problemi correlati, proposta dall’OMS, fa riferimento al tema dell’Iperalimentazione Psicogena, come forma di iperalimentazione associata ad altri disturbi psicologici, inquadrando il disturbo come obesità dovuta ad iperalimentazione reattiva ad uno o più fattori di stress (obesità reattiva). I Centri per la cura dei DCA includono generalmente anche questo disturbo fra quelli dei quali si occupano.
La persona che soffre di Obesità Psicogena presenta un marcato sovrappeso, in assenza di cause mediche che lo giustifichino e della diagnosi di un diverso DCA, anche se il suo quadro clinico può presentare compresenza di altri disturbi psichici (Depressione Maggiore, Disturbi di Personalità, Psicosi). Questi soggetti non sono bulimici, infatti generalmente non sono presenti le abbuffate tipiche della bulimia, che sono tipicamente limitate nel tempo, accompagnate dalla sensazione di perdere il controllo e seguite dal senso di colpa. Il cibo viene utilizzato solitamente come compensazione a fronte di stati d’animo ansiosi o depressivi e, più in generale, di un significativo disagio psicologico.
L’iperalimentazione nell’Obesità Psicogena assume una duplice valenza simbolica, in quanto mezzo inconsapevolmente utilizzato come difesa in parte dalle aggressioni esterne, perché la massa adiposa in eccesso costituisce una barriera protettiva per la persona e la mantiene all’interno di una sorta di “corazza” che la contiene e la difende dagli altri, ed in parte dai sentimenti di vuoto e disvalore, affrontati illusoriamente riempiendosi di cibo ed aumentando il proprio volume, diventando così “una persona di peso”.
Mangiare eccessivamente diventa quindi uno strumento offensivo di autoaggressione o punizione, in quanto l’iperalimentazione suscita fantasie distruttive (si pensi all’espressione “mangiare fino a scoppiare”) e l’obesità che ne consegue è correlata ad un alto rischio di mortalità e di sviluppo di patologie correlate al sovrappeso.
L’accumulo di massa grassa può inoltre rappresentare simbolicamente una sorta di “ritenzione emotiva”, perché la persona “accumula” emozioni che non riesce ad esperire o fronteggiare come tali. Il rapporto con il cibo è di conseguenza ambivalente e fortemente regressivo: l’alimentazione è utilizzata per colmare un vuoto, per nascondersi, per rinforzarsi, sviluppando uno strato protettivo esterno, e per autodistruggersi.
La personalità dei soggetti affetti da Obesità Psicogena è tipicamente carente dal punto di vista dell’autostima e dello sviluppo di una chiara identità, oltre ad essere deficitaria nell’utilizzo del linguaggio simbolico e nella capacità di distinguere ed esprimere le emozioni. Queste modalità sono correlate ad una gamma di emozioni e stati d’animo molto differenti fra loro, quali la solitudine, il senso di vuoto o di colpa, la vergogna, la rabbia o la paura, oltre che ad un’immagine di sé carente di aspetti positivi e al rifiuto dell’identità adulta sessuata.
Le condotte specifiche dell’obeso, in particolare adolescente obeso, sono essenzialmente due: l’iperfagia e l’atto di “piluccare”. Questi comportamenti possono assumere due forme:
– il grazing, che letteralmente significa “pascolare”, caratterizzato dall’ingestione di piccole quantità di cibo in maniera continuativa nel corso dell’intera giornata;
– lo snacking, ovvero il consumo frequente di cibo ipercalorico al di fuori dei pasti.
Il risultato è un consumo eccessivo di cibo generalmente non compensato da adeguata attività fisica, che consenta al soggetto di ingrassare meno.
Secondo la Psicologia dello Sviluppo l’obesità affonda le proprie radici nell’infanzia dell’individuo ed in particolare nelle esperienze di nutrizione dei primi anni di vita. Quando la risposta che la madre fornisce a fronte di qualunque malessere del bambino è il cibo, questi crescerà senza essere in grado di distinguere i differenti disagi che prova ed imparando a dare a tutto un’unica risposta: mangiare.
L’obeso vive di conseguenza un’importante difficoltà di riconoscimento dei bisogni del proprio corpo, affrontando in maniera confusa e disorganizzata qualunque stato di malessere lo colpisca, perché fatica a distinguere il malessere fisico da quello psicologico.
Un ciclo di incontri di counselling può supportare la persona obesa, che sceglie di seguire un piano personalizzato di dimagrimento, ed integrare quindi l’importante lavoro del medico e del nutrizionista. In alcuni casi può essere più indicato un percorso di psicoterapia, laddove l’équipe medica che si occupa del paziente ne ravvisi l’esigenza. Certamente però l’accoglienza e l’ascolto non giudicante della persona in difficoltà, la relazione empatica e la condivisione degli stati emotivi del particolare momento di vita, ovvero l’approccio del counselling della relazione d’aiuto, non possono non portare sollievo alla persona stessa, spesso confusa, scettica e demotivata dinanzi alla grande opportunità di cambiamento e di beneficio correlata alla riduzione di peso e, soprattutto, al miglioramento dello stile di vita e di condotta alimentare.